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Cronaca di un tramonto cingalese [reportage di Agnese Di Giusto]

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Agnese Di Giusto

Silenzio. L’oceano ci circonda, ci abbraccia, ci culla. Sembra quasi che quest’immensa massa d’acqua voglia consolarci, nonostante questo suo color grigio-bluastro la faccia apparire un po’ malinconica.

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Non assomiglia per niente al mare che abbiamo conosciuto in questi giorni: trasparente, giocoso, ricco di pesci dai colori sgargianti e di coralli meravigliosi. Chissà, forse è il suo modo di salutarci, di dirci arrivederci; sì, arrivederci, ma non addio.

Silenzio. È uno di quei silenzi ricchi di parole e di emozioni. È uno di quei silenzi che ti riempie, che dice tutto, che racchiude la bellezza di questi giorni passati in Sri Lanka: una bellezza che affascina lasciando senza parole, semplicissima e ricca di spiritualità. Il sole si sta incendiando davanti ai nostri occhi, si sta tingendo di un rosso pazzescamente acceso.

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Silenzio. Mi guardo attorno e vedo i volti rapiti di giovani donne e uomini provenienti da tutta Italia, con i loro ricordi, le loro passioni, i loro sogni e i loro modi di approcciarsi alla vita gli uni diversi dagli altri, ognuno con un proprio concetto di bellezza, eppure ora siamo tutti qui, quasi commossi da questo spettacolo mozzafiato.

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Silenzio. Ripenso alle serate passate in loro compagnia ad ascoltare le storie di persone coraggiose che non hanno avuto paura di lottare per ciò che ritenevano giusto, per ciò che era realmente giusto, per ciò che era vero. Persone reali, fatte di carne e ossa, di pregi e difetti, non super eroi. Proprio come noi. Ripenso ai silenzi che seguivano i racconti delle vite di Luigi Calabresi o di Walter Tobagi, che per me erano, come questo, ricchi di significato e di rispetto. E poi ripenso ai momenti felici e alle risate che ci siamo fatti sentendo i racconti più o meno realistici su galline pellegrine, cocomeri mangiati in un sol boccone come se fossero delle caramelle, poesie d’amore piuttosto originali e tatuaggi decisamente particolari. Mi perdo a ricordare le discussioni che ci hanno animato, i confronti e le chiacchierate fatte a tarda sera davanti a una birra. Quei momenti in cui ci si apriva e si decideva di donare un ricordo, un emozione, un pensiero, un po’ di sé ai propri compagni di viaggio.

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Silenzio. Il cielo sta cambiando. Il rosso estremamente vivido sta lasciando il posto a un lillà molto tenue. Ho sempre associato le tonalità pastello a una bellezza più delicata, di quelle che non vengono ostentate, che non fanno di tutto per attirare l’attenzione, anche perché non ne hanno bisogno. Una bellezza più discreta, più silenziosa, di quelle che, se non si fa attenzione, rischiano di passare quasi inosservate. La stessa bellezza che ho visto nei sorrisi sinceri e disinteressati che ci sono stati regalati dalle persone che incrociavamo, negli alberi secolari che continuano a crescere nel cuore della foresta, nella devozione di coloro che portano i fiori di loto davanti alle imponenti statue di Buddha, nel verde brillante delle foglie di tè che tinge le colline di quest’isola sorprendente.

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Silenzio. I ricordi prendono per un attimo il sopravvento. Ripenso a quegli occhi nerissimi che ci scrutavano incuriositi, a quei capelli color dell’ebano e a quei sorrisi giocosi e furbi. Ripenso a quel pomeriggio, a quella partita di calcio e alle risate che ci siamo fatti. A volte le parole diventano superflue, quasi inutili, limitanti, quasi un peso, anche perché non serve spendere tante parole quando si ha a portata di mano un pallone e uno spiazzo libero dove giocare. È bastato uno scambio di sguardi per capirsi; a volte basta così poco. Ed è stato bello, anzi bellissimo passare quella mezzora spensierata a rincorrere un pallone tutti assieme, come se fossimo amici da sempre, come se fossimo di nuovo bambini.

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Silenzio. Ritorno alla realtà. Il sole si sta lentamente nascondendo dietro le chiome delle palme, ne rimane un ultimo spiraglio che fa timidamente capolino. Sembra voglia restare con noi il più possibile, sembra quasi che non voglia far iniziare quella che per noi sarà l’ultima notte in Sri Lanka prima del ritorno a casa. Sorrido ripensando al fatto che pochi mesi fa non sapevo di preciso nemmeno dove fosse lo Sri Lanka, mentre ora posso dire di essere totalmente affascinata e rapita da questa terra, ricca di paesaggi variegati, di colori intensi, di profumi e sapori decisi e speziati. Una terra esotica, dove le persone sembrano seguire un ritmo di vita più umano e meno frenetico rispetto a quello che siamo abituati a vivere, dove ancora non si è ancora perso il contatto con la natura e il rispetto nei suoi confronti. Quest’isola, dalla quale non sapevo proprio cosa aspettarmi, ha rapito un pezzetto del mio cuore, che resterà suo per sempre, ma il suo posto è stato preso da una miriade di immagini, persone, odori, sapori, serate e momenti che non scorderò mai.

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Silenzio. Mentre anche l’ultimo stralcio di sole ormai tramonta ripenso alle immense e coloratissime tele decorate col batik, agli antichissimi templi di Dambulla, alle scimmiette dispettose, allo sguardo mite e malinconico degli elefanti, alle raccoglitrici di tè e alla loro pazienza, ai profumi delle spezie, agli ananas come se, ricordare tutto ciò qui e ora, possa renderne il ricordo indelebile. Immortale.

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Silenzio. Il sole è ormai tramontato, mi volto verso i miei compagni di viaggio.

Silenzio. E improvvisamente quel silenzio viene rotto da quello che è diventato, per così dire, il nostro inno, ciò che cantiamo nei momenti più emozionanti, quei momenti che ci toccano l’anima. “Malu, malu, malu…”. Chissà chi l’ha intonato, non sono nemmeno riuscita a capirlo.

Chissà, forse sono stata proprio io senza rendermene conto, come se cantare questa canzone popolare cingalese fosse una vera e propria necessità. Chissà, forse invece l’abbiamo intonata tutti assieme perché in quel momento era ciò di cui tutti avevamo bisogno. È strano come cantare quella che potrebbe sembrare una semplice canzoncina, insegnataci su un treno da dei passeggeri durante uno scambio culturale piuttosto insolito, possa rendere un momento unico ancora più speciale.

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Mi guardo attorno, cerco di memorizzare il maggior numero di particolari. Cerco di imprimere nel mio cuore e nella mia mente ciò che questo viaggio ha significato per me, nella speranza di non scordare mai ciò che questa terra, la sua gente e i miei compagni di viaggio sono stati in grado di insegnarmi in così poco tempo. E chissà forse è vero che “non è l’uomo che fa il viaggio, ma il viaggio che fa l’uomo”.

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6 Thoughts to “Cronaca di un tramonto cingalese [reportage di Agnese Di Giusto]”

  1. Massimo Madiai

    Silenzio…parla Agnese !

  2. Alberto Damiani

    Bravissima

  3. Silvio Pezzetta

    Descrizione poetica e suggestiva che coglie non solo il paesaggio paradisiaco, ma anche le persone incontrate in modo semplice e profondo.

  4. Federico

    Veramente un racconto coinvolgente, che ti lascia la voglia di vivere ed assaporare le atmosfere di quei luoghi!!!!

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