[Fotografi] Aleksandr Rodčenko
La persona nella fotografia è il poeta russo Vladimir Vladimirovič Majakoskij (1893 – 1930).
Il fotografo che l’ha ritratto è Aleksandr Michajlovič Rodčenko (San Pietroburgo, 23 novembre 1891 – Mosca, 3 dicembre 1956).
Rodcenko ha passato la sua infanzia all’interno del Club russo sulla prospettiva Nevskij a San Pietroburgo, un teatro dove suo padre lavorava e dove con la sua famiglia viveva. Avevano un appartamento al quarto piano che era collegato da una scala interna direttamente al palcoscenico dello stesso teatro.
Questo pezzo di vita così chiuso all’altro mondo, quello fuori dal teatro, costituisce uno dei “primi paesaggi” per Rodcenko, forse (o almeno a me piace pensare così) un paesaggio fondamentale.
Rodcenko arriva alla fotografia dopo un percorso che lo vede essere prima pittore, poi grafico e infine designer, ma ci arriva anche dopo aver incontrato personaggi fondamentali per la sua vita personale e professionale come ad esempio i futuristi Burljuk, Kamenskij e Majakovskij.
Compra la sua prima macchina fotografica nel 1924, quando aveva 33 anni, dopo che la sua collaborazione lavorativa con Majakovskij era già iniziata. Sembra che in quel periodo spendesse tutto quello che guadagnava per attrezzature fotografiche: addirittura, si legge nella sua biografia, che una volta gli sarebbero mancati trenta rubli per comprare un ingranditore e che il suo amico Majakovskij abbia risolto tale problema anticipando i rubli mancanti.
Di questo stesso periodo sono i primi ritratti fotografici a vari soggetti tra cui l’amico e collega Majakovskij che posò per lui in aprile.
Rodcenko non fotografò mai persone dall’aspetto rassicurante o sereno ma al contrario gli uomini e le donne che ritrasse erano tutte assorte nei loro pensieri ed ancora oggi, forse grazie anche a questa peculiarità, catturano senza ombra di dubbio la nostra attenzione. Quando fotografò Majakovskij, in una serie di fotografie non costruite e lineari, eseguite all’interno del suo laboratorio fotografico, il poeta era seduto su di una sedia, con il cappello in una mano e nell’altra una sigaretta. Immagini semplici, prive di qualsiasi artificio, tuttavia cariche di un intenso impatto emotivo: in realtà sembra che sia il poeta a guardare noi più che noi, veri fruitori dell’immagine, a guardare lui.
E qui sta la forza, che non ha pari, di questa sequenza fotografica.
Una curiosità: tutti noi, o quasi, sappiamo che il poeta scriveva con la matita che si portava sempre dietro, precisamente nel taschino della giacca, ma guardando questa fotografia si nota come ci sono nello stesso taschino anche due penne.
Perché? Perché prima degli scatti fotografici Majakovskij aveva giocato a mahjong con alcuni membri di LEF (l’importante rivista costituita nel 1923 dagli artisti dell’avanguardia russa) vincendo le penne al critico Michail Lividov. Dopo circa due giorni gli restituì le penne dicendo queste parole: “se scommetti non rischiare [ io aggiungerei – mai – ] i tuoi mezzi di produzione”.
ASCOLTATE!
Ascoltate!
se accendono le stelle,
vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che qualcuno vuole che esse siano?
Vuol dire che qualcuno chiama perle questi piccoli sputi?
E tutto trafelato,
fra le burrasche di polvere meridiana,
si precipita verso Dio,
teme d’essere in ritardo,
piange,
gli bacia la mano nodosa,
supplica
che ci sia assolutamente una stella!-
giura
che non può sopportare questa tortura senza stelle!
E poi
cammina inquieto,
fingendosi calmo.
Dice ad un altro:
“Ora va meglio. È vero?
Non hai più paura?
Sì?!”
Ascoltate!
Se accendono le stelle-
vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che è indispensabile
che ogni sera
al di sopra dei tetti
risplenda almeno una stella!
( Majakovskij, 1914)