Da Jenin al Deserto del Wadi Rum
Il freddo è pungente nonostante il fuoco arde davanti a me. La sabbia è gelida, ma non voglio andare a dormire. Circondata dalle rocce che di giorno si tingono di rosso e che ora allungano le ore ombre grazie alla luna piena, sono circondata da persone che non parlano la mia lingua.
I tre ragazzi che mi hanno presentato come beduini del deserto giordano, in realtà vengano dalla Siria. “Beduini sono beduini, che siano giordani o siriani” mi dicono, i confini in fondo sono un’invenzione moderna per la gente abituata a vivere il nomadismo. Ci sono anche due ragazzi palestinesi che vengono da Betlemme e che prima al campo si erano scatenati nei balli. I miei tre compagni di viaggio sono affascinati da loro, ma solo il giorno seguente avrei compreso il motivo.
Giochiamo a una specie di gioco della bottiglia, ma qui l’obbligo non è di baciare, ma fare delle domande. Quando tocca a me, con il mio arabo stentato, riesco a chiedere gli anni a uno dei beduini, la domanda che mi sembrava più indiscreta possibile. Invece quando la bottiglia si posiziona in modo che sono io a ricevere la domanda, non vanno per il sottile. La mia amica Mayada mi traduce in inglese la loro richiesta: cosa ci fa una donna sola in viaggio senza marito? Presto detto, quando rispondo che sono in Giordania per lavoro sembrano accettare che una donna che sta lavorando può essere anche non accompagnata, almeno nel modo occidentale.
Uno dei siriani mi ha disegnato un bellissimo uccello con il cuore al centro del corpo, mentre stringo in mano una tazza di tè fumante, che non mi allevia però dal freddo pungente. Mezza notte è passata, decido di tornare nella mia tenda. Col chiaro di luna sarei rientrata al campo anche da sola, ma il ragazzo a cui mi è toccato chiedere “ Ma ‘umruk? “ (quanti anni hai?) decide di accompagnarmi. La cavalleria e l’ospitalità sono di casa tra questi popoli. L’unica cosa che sa dire in italiano è “di Bari” , credo appreso da qualche turista italiano. Io gli sorrido, mentre continuo a stare attenta a non inciampare tra le increspature della sabbia. Da quello che comprendo è lui che ha cucinato la splendida carne cotta nel forno sotto terra e in qualche modo gli faccio capire che ho apprezzato tanto la cena.
L’indomani a colazione incontro i miei tre compagni di viaggio giordani. Loro hanno abbandonato il falò alle 3 del mattino. Mi domando allora, dopo tante esperienze nel deserto, perché ieri sera era stata cosi piacevole per loro. La risposta è molto semplice, o forse no se non si conosce la storia. Loro vivono in Giordania, ma sono palestinesi, e ieri sera era stata la prima volta nella loro vita che hanno potuto parlare con dei ragazzi palestinesi in carne e ossa. I loro genitori vengono dal campo profughi di Jenin e in Giordania hanno trovato una nuova vita.
Questi ragazzi nati in Giordania, ma con avi palestinesi, hanno enormi difficoltà a tornare nella terra dei loro padri. Ottenere i visti per la Palestina è difficilissimo. Sono rassegnati a vivere la loro patria nei ricordi dei genitori, ormai hanno perso ogni speranza di “tornare a casa”.
La Giordania è un Paese inventato da Churchill per i giochi di egemonia politica tra Francia a e Regno Unito, dopo la rivolta araba del 1936, quella resa nota Lawrence d’Arabia. I giordani autoctoni sono i beduini, l’altra parte è composta da rifugiati palestinesi. In tempi moderni i rifugiati sono diventati siriani, facendo diventare questa una nazione di persone “esiliate”. Nel deserto, illuminati dalle candele, questi esuli hanno la possibilità di confrontarsi senza barriere e io sono una semplice spettatrice consapevole di avere il gran privilegio di essere nata da un’altra parte di mondo.
Cantando Ila Aqaba (verso Aqaba) lasciamo il deserto verso la città costiera di Aqaba, abbandonando i tristi pensieri di una patria lontana, che in realtà è a pochi km di distanza, di orrori passati commessi su queste terre, di lotte, e ci catapultiamo verso un presente incerto, ma pieno di voglia di vivere, dove i giovani guardano avanti senza voler dimenticare il passato.
12 dicembre 22,
Sabrina Ferrario
Letture consigliate: Ogni Mattina a Jenin – Susan Abulhawa
Lawrence d’Arabia e l’invenzione del Medio Oriente – Fabio Amodeo e Mario Josè Cereghino