[Fotografi] Mario Giacomelli
Mario Giacomelli mi fa venire in mente quelle figure rinascimentali che erano insieme molte cose: lui era stampatore, fotografo, poeta, pittore e uomo. In realtà ho delle difficoltà a parlare delle fotografie di Mario Giacomelli perché ogni volta che le guardo mi evocano delle emozioni così intense a cui non riesco a dare una lucida spiegazione razionale. Meglio così, mi dico certe volte.
Giacomelli nasce a Senigallia nel 1925 e muore a Senigallia nel 2000. Nel 1953 acquista una Bencini Comet (CMF) con ottica rientrante, pellicola 127, ottica acromatica, otturatore con tempi 1750 + Be sincro flash. Scatta delle fotografie sulla spiaggia, al mare, una di queste è L’approdo: una ciabatta rotta con una stella sopra.
Tutto qui. Apparentemente.
Quella fotografia invece verrà scelta da Giacomelli per partecipare ai primi concorsi perché vi legge chiara e forte un’assonanza con ciò che rimane dopo il passaggio del tempo. Questo è l’inizio di un suo percorso fotografico riconosciuto non soltanto a livello Italiano, ma anche internazionale che lo vede al MoMa di New York, al Victoria & Albert Museum di Londra e in molti altri luoghi in cui si sancisse definitivamente il fatto che un uomo è anche artista.
Questo è l’inizio della sua maniera di fare fotografie: unica, personale, inconfondibile, piena di decisi sconvolgimenti tonali, di esasperate esposizioni che durante la stampa venivano rielaborate in modo coraggioso e allo stesso tempo sapiente.
Diceva: “Due mondi vivono in me, quello reale e quello fantastico, la natura che dialoga con l’interiorità è ben diversa da quella che riprende la macchina fotografica”.
Le sue fotografie sono “ruvide”, certe volte le percepisco addirittura come poeticamente feroci – sono i solchi dei campi ma anche le rughe del volto che si somigliano: pelle e terra per certi versi indistinti, forse perché provenienti dallo stesso uomo che vede, pensa, restituisce.
Mi piace pensare, ne sono forse convinta, che Giacomelli non racconti: non vi sono nelle sue fotografie scorci paesaggistici o ritratti o anche vedute, come ci suggerisce in un saggio Roberta Valtorta, ma vi è fantasia nell’accezione del termine usato dal filosofo greco Platone ovvero la rappresentazione che produce immagini false rispetto alla realtà, ma che sono, secondo me, realtà a loro volta in quanto sono Mario Giacomelli.
Di Mario Giacomelli, Ferdinando Scianna dice: “È del resto difficile circoscrivere dentro un’interpretazione unica un creatore, un artista, così enorme e poliedrico come Mario. Quando si incontra un genio, ha scritto Borges, non rimane che rassegnarsi. Nel senso che, visto che si tratta di qualcuno fuori norma, rimane ben poco da dire.”
Che altro aggiungere?