[Intervista Fotografica] Domenico Tattoli
“Un viaggio alla ricerca dell’attimo di silenzio, il più prezioso, l’attimo che precede la creazione. Con la natura intorno, pronti ad ascoltare, tra cascate e piantagioni di tè, con gli occhi pieni della maestosità dei templi ed incuriositi dal fascino degli elefanti. L’attimo in cui l’archetto del Maestro Rossi si poserà sulla viola e s’accorderà con i suoni della natura, l’attimo in cui il fotografo Antonio Manta spingerà il dito sul pulsante di scatto per fermare il tempo. Fusione delle arti, fusione dell’arte con la natura, per un viaggio sulle tracce della meraviglia. Per chi ha voglia di migrare verso l’oltre, verso le mete visibili e invisibili.”
Linda Ansalone
Il fotografo Domenico Tattoli, intervistato dalla giornalista Linda Ansalone, durante il magico viaggio fotografico-musicale in Sri Lanka con Reporter Live:
La visione del mondo che vuoi trasmettere? Come indaghi il mondo?
Vorrei comunicare la visione di un mondo che ormai sembra essere scomparso, non a caso il 99% delle mie fotografie sono in bianco e nero, perché ritengo che la pellicola in bianco e nero evochi un passato che non esiste più. La mia la definirei una sorta di indagine storica, mi piace fotografare i luoghi che un domani muteranno, probabilmente mi avvicino alla fotografia sociale.
Mi parli di luoghi, quindi mi sembra di capire che la tua indagine del mondo sia territoriale.
Mi piacciono i luoghi, ma soprattutto le persone legate ai luoghi. In tutte le foto ricerco la componente umana, anche in un paesaggio per esempio, mi piace che ci sia una persona, la cui presenza, secondo me, attribuisce allo scatto più forza.
Cosa cercano in particolare i tuoi occhi?
Non posso dare una risposta precisa. Sicuramente posso dirti che la mia è una ricerca emotiva, non potrei scattare una foto senza ricevere prima la giusta spinta emozionale.
Come si guarda per fare una foto?
Sicuramente non solo con gli occhi, anzi ritengo che la componente visiva non sia necessariamente la prima in ordine di priorità. Io, innanzitutto, ho bisogno di sentire il territorio, conoscerlo, esserne coinvolto; per anni ho fotografato i jazzisti, rendendomi conto che la presenza dell’obiettivo per me era importante nell’ascolto della musica stessa, come se avesse il potere di veicolarla. Se riesco a creare una sintonia con un luogo lo fotografo, altrimenti rinuncio.
Mentre fotografi sai sempre quello che vuoi?
Quasi sempre, anche se d’indole non sono una persona a cui piace organizzare le cose. Quindi alla base no, non c’è quasi mai un progetto preciso. Fotografo molto per il mio piacere personale, è un po’ come quando arrivi in una città nuova e ti lasci affascinare da qualcosa, che prima ignoravi.
Quello che trovi alla fine in foto è sempre quello che pensavi di trovare?
Nell’80% delle volte sì, prima di scattare una foto la visualizzo interiormente. A volte però, può capitare di trovare, poi, in una foto, un particolare che prima ti era sfuggito.
Immagini la vita delle persone che fotografi?
Certo, infatti avverto un senso di difficoltà quando, a causa della lingua diversa, in un paese straniero, non riesco a comunicare con le persone del luogo.
Hai mai pensato di “rubare” loro qualcosa? Di aver preso più di ciò che ti era stato concesso?
No, non ho mai rubato, stabilisco sempre un contatto. Mi piace lo scambio, infatti cerco di lasciare sempre qualcosa, regalare un sorriso o un piccolo oggetto, per esempio porto come me delle penne. Non amo gli zoom e non li uso perché quando fotografo da lontano, sì in quel caso, mi sembra di rubare qualcosa.
Perché la scelta del bianco e nero?
Per me la foto in bianco e nero non è una foto scontata, nel senso che ritengo che stimoli a scorgere i particolari, permette di immaginare, di entrarci un po’ dentro. E poi perché la foto in bianco e nero è fatta di ombre e di luce, un po’ come la vita stessa.
Pianifichi una foto o nasce da sé? È più importante per te comunicare il percorso che ti porta al risultato o il tuo lavoro finale?
Mentalmente c’è una pianificazione, sei talmente tanto coinvolto da un luogo da immaginare e visualizzare la foto prima ancora di scattarla, è come se anticipassi un po’ quello che sta per succedere. Non amo le macchine veloci, non ricerco la velocità, nella vita tendo alla tranquillità e alla calma, così come in fotografia.
Esiste un’etica nelle tue foto? Esiste qualcosa che ti rifiuti di fotografare?
Sicuramente. Non fotografo i disadattati, gli emarginati, mi rifiuto, mi sembra di rubargli del tutto la loro dignità. Poi non amo i luoghi abbandonati, dove è lontana l’idea della presenza umana.
Applichi la sintesi in ogni singolo scatto?
Sì, certo, io amo molto le foto che hanno una storia. Una foto che racconti tutto.
Vivi “l’urgenza” fotografica? Una sorta di fame fotografica.
No, mi piace rifugiarmi nella fotografia, a cui mi dedico con molta serenità. Avverto di più la fame di vivere una determinata situazione, poi posso anche decidere di non scattare.
Esiste la realtà nella fotografia? O la fotografia è sempre una copia della realtà?
Più che una copia è un’interpretazione della realtà, fotografando ne ritagli solo una parte, è quindi una realtà relativa al tuo occhio, al tuo stato d’animo, al messaggio che vuoi trasmettere. Anche i fotoreporter che dovrebbero avvicinarsi al senso del reale il più possibile, in realtà estraggono solo una parte della realtà. Nell’obiettivo non puoi farci entrare tutto, fai delle scelte, sempre.
Quale parte del mondo vedi quando fotografi e quale invece cerchi di cancellare?
Sicuramente cancello tutto ciò che non amo nella vita in generale, tipo non fotograferei mai una scena di violenza, non sono un violento. Fotografo quelli che sono i miei valori. Di sicuro non fotografo per cercare consensi o like sui social networks.
Avresti una definizione per te, che ti rappresenti come fotografo?
Io non amo definirmi, preferisco lo facciano gli altri.
A cosa hai pensato oggi durante l’esibizione di Danilo?
Più che pensare, quando siamo entrati sotto le mangrovie mi son detto che solo questa esperienza della musica legata alla fotografia, vale tutto il viaggio. Non mi è mai successo di trovarmi in un posto nuovo ed ascoltare un musicista suonare in mezzo alla natura. È stato un viaggio nel viaggio. Un’emozione fortissima, ho abbandonato la macchina fotografica per viverla appieno, come se avessi un blocco, positivo intendo. Mi sono seduto, la musica alle mie spalle, lo squarcio del panorama di fronte a me. Ho escluso la vista, non ho più guardato il musicista, per sentire la musica entrare più profondamente. È una emozione che non rivivi in nessun altro posto.
Quale è il luogo dello Sri Lanka che avevi immaginato di fotografare ed ancora non hai visto?
Io, in questo tipo di viaggi, non immagino mai prima di partire. Non voglio conoscere in anticipo per non essere influenzato da ciò che ho visto o letto. Lo voglio scoprire da solo.
Il ricordo più bello di questo viaggio?
Questo è stato un viaggio in cui la presenza di una forte componente emotiva, a volte è stata destabilizzante per il lavoro fotografico. Mi riferisco in particolare alla musica soave, quasi onirica oserei dire, di Danilo. Il ricordo più bello non è un ricordo visivo ma emotivo. Difficilmente dimenticherò la musica che con discrezione prima e con forza dopo, ha colorato le mie foto.