Le scoperte dello Sri Lanka [reportage di Elena Cervesato]
Non mi ero mai sentita così vicina al Cielo. Eppure laggiù si sente forte il pulsare della vita e si è lontanissimi dalla perfezione. Ricordo le bellezze di quella terra affiancate al caos, le scimmie alle preghiere, i temporali ai sonagli dei danzatori.
Mai avrei immaginato la Pace così rumorosa.
ALBA o anche prima – ACQUA
Nello svegliarmi avverto un piccolo brivido, un piccolo momento di eccitamento pensare, quando mi sveglio, di essermi svegliata in Sri Lanka. È la stessa sensazione di quando, il primo giorno, siamo scesi dall’aereo il primo giorno e abbiamo respirato il tepore dell’Isola Splendente, solo un po’ più contenuta. Se fossimo stati ancora dal lato est dell’isola avremmo sentito il mormorio delle grandi città che si svegliavano presto con noi. Qui invece, sull’altra costa oceanica, nella piccola baia, c’erano solo i pescatori e le loro barche celeste purissimo che ci attendevano per accompagnarci a cercare i delfini e per ammirare le scie colorate dei pesci.
Ero partita con i miei diciotto anni e una valigia vuota da riempire. Sapevo esattamente di volere venire qui per vivere i racconti dei miei genitori. Conoscevo l’isola, persino i nomi delle località, e sognavo la cultura orientale. Mi sono tuffata in questo tour e ne sono rimasta incantata passo dopo passo, come in apnea, a fissare ogni contrasto, a cercare di assimilare tutto il possibile.
Ormai stiamo navigando verso una piccola isola paradisiaca. Guardo i visi dei miei compagni. Non ce l’avrei mai fatta a smuovermi ed arrivare alla fine senza di loro. Potevo essere pronta per un mare così limpido e per la diversità dei cibi, ma non si può essere mai preparati a vedere uniti la povertà e la dignità, anche nei motori quasi artigianali di queste barche, con i
tubi ovunque, né allo sguardo dei bambini a quell’ora del mattino fieri di aiutare il padre a stendere file di pesci ad essiccare al sole, talmente luccicante da far parere di sentirne lo sfrigolio.
Guardo ancora i miei compagni e quell’angolo di paradiso, Pigeon Island. Come sono felice. Ormai siamo arrivati. “Ayubowan” penso, “Benvenuti”.
MATTINO – CITTA’
Il sole appare e scompare tra le nuvole e si fa strada tra le vette di edifici e alberi: chiazze di luce e stoffe si mischiano sulle vie all’odore di frutta e di sudore. Le città dello Sri Lanka sono piccoli alveari di api scure che si espandono, sempre indaffarate girano ronzando in vecchi autobus privati e nei tuk tuk, dandosi ognuno da fare per la propria famiglia.
La gente va veloce, ma è diverso qui. Sembra che siano davvero consapevoli del concetto e del valore del tempo e conoscono le cose che contano realmente. Ogni mattina prima di andare al lavoro contadini, negozianti o uomini d’affari, tutti si fermano ad uno dei templi che punteggiano la loro strada, spesso solo per un inchino all’altare o per portare un fiore, segno di un concetto di sacralià e di spiritualità che li accompagna nei piccoli gesti come nelle grandi cose. E quando trovano noi turisti alle entrate ci guardano con rispetto e felicità.
I templi sono circondati da cortili e si entra scalzi, a contatto con la terra sacra. Ci guardiamo tutti attorno con gli occhi sgranati: non credo di essere l’unica ad entrare per la prima volta in un luogo simile. Gli interni sono spesso scuri e piccoli, giusto lo spazio per un passaggio, e per pregare ci si siede a terra. Alcune volte ci sono arazzi a coprire le statue sacre, con stampe che potrebbero somigliare a poster moderni e che contrastano con i portici in legno intagliato. E ci passano accanto uomini con il sarong tradizionale e persone con le t-shirt di ‘angry birds’. In città si notano bene i contrasti, soprattutto tra la nuova e la vecchia civiltà, racchiudono in sé il passato e il segreto del cambiamento. Anche gli edifici fuori dal recinto del tempio –qualche palazzo e villa e poi solo abitazioni con tetti in lamiera- mostrano come la trasformazione che sta avvenendo a grandi passi.
Ci fermiamo sotto un grande albero nel cortile mentre la nostra guida ci racconta antiche storie. L’esterno del tempio è ciò che preferisco: cani randagi, fumi d’incensi e bandiere colorate. Meditazione, dialogo e preghiera si fondono. È questo il loro segreto: unire la tranquillità e la serenità della preghiera ai rumori della vita, e poter quindi portare e sentire la pace ovunque a Ceylon. L’unione di cose che pensavamo contrastanti in realtà non lo sono affatto. Come anche tenere all’interno di quello stesso tempio stanze per divinità induiste e stanze per Buddha.
Dobbiamo andare. All’uscita c’è un medicante con gli occhi azzurri e le labbra secche. Tra poco pioverà.
GIORNO INOLTRATO – IL CUORE DELLO SRI LANKA
Alla stazione ferroviaria sembra di essere in un vecchio film: costruzioni di pietra, sovrappassaggi, venditori ambulanti di strane cibarie. La gente attende trepidante e alcune donne si lasciano fotografare. Faremo un viaggio nel viaggio, una traversata tra il verde dalle colline di tè fino alla foresta.
Si va così piano che si possono aprire le porte esterne e sedersi sui bordi con le gambe a penzoloni fuori dalla carrozza. L’aria arriva come spirito, veloce: facciamo a gara per prendere quel posto! Tra le coltivazioni si intravedono donne bellissime con grandi ceste per raccogliere le foglie di tè, valli e cascate, stradine di terra rossa sangue, villaggi, bufali, contadini e muratori in infradito. Con una famiglia seduta vicino a noi iniziamo a cantare, canti nostri, canti loro, alcuni li conosciamo entrambi, ma in lingue diverse.
Il contatto con la gente era ciò che più ricercavo. Cantare assieme stringe un legame molto semplice, quasi primordiale. Come quando ci accolgono a mangiare a casa loro, nei loro giardini, cucinandoci riso integrale, carni e verdure con mille spezie, colorate su piatti di foglie di palma intrecciati, preparandoci tutto con estrema cura e riguardo. Era il cibo più buono e saporito di sempre, non saprei con quali parole trasmettere quegli odori e quei sapori, o il gusto di mangiare con le mani ai bordi di una risaia e finire ogni pasto con ananas fresco e tè caldo allo zenzero. Vedere realizzarsi l’immaginario che avevo dello Sri Lanka, condito di tutte quelle emozioni, in ogni piccola cosa, è stato qualcosa che mi ha riempita nel profondo.
Si alza il vento, e la vegetazione inizia a frusciare. Ringraziamo di cuore, per tutto ciò che ci hanno dato e per i continui sorrisi di tutti gli abitanti. È la loro essenza, sincera e armoniosa, che trasmettono semplicemente così, senza bisogno di parlare, con l’espressione del viso.
C’è un sorriso, in particolare, che non potrò mai dimenticare: quello del maestro di arti marziali, conosciuto un giorno in mezzo alle secche campagne. Avevamo potuto assistere ad un allenamento del suo gruppo di allievi e alla fine era arrivato lui, con la sua barba ancora scura e le rughe sugli occhi. Nessuno poteva non rimanere incantato. Era così bello, maestoso, rassicurante, calmo; sembrava quasi esser vicino alla vera illuminazione, come quella avuta da Siddharta un tempo, sempre su quest’isola. Parla con noi e ci dice che la cosa più importante non è l’allenamento o l’esercizio, ma la meditazione. È ciò che veramente conta e serve nella vita, la meditazione giornaliera, perseverata, sempre più profonda. Un’ascesa.
Questa terra è piena di ascese. Bisognare salire per gli antichi templi più belli, per raggiungere le grotte di Dambulla con le 153 statue di Buddha dipinte. La bellezza pura che sta nella salita stessa dell’antico percorso dei monaci a Ritigala, nel ventre della foresta, nel silenzio della linfa pulsante di alberi per noi strani ed immensi.
Saliamo in groppa a quei buffi elefanti grinzosi per poter guardare dall’alto lo scintillio del lago dove la gente s’immerge a fine giornata per lavarsi. E laggiù, da lontano, il profilo di Sigirya, roccia enorme trasformata da un re di un tempo in una reggia e in un labirinto, ormai quasi invisibili ma allo stesso tempo indistruttibili.
La natura in questo oriente pare ancora mitica e magica. Ho talmente timore che presto possa venire inglobata nel cambiamento, contagiata dalla globalizzazione senza conservare il suo lato sacro. Eppure credo che se esiste un popolo che possa riuscirci, o una storia che sappia far trovare il compromesso, una cultura che trovi l’equilibrio, sono quelli di Ceylon.
SERA – CITTA’
Quando arriviamo in città è quasi sera, e anche se non è ancora buio le luci dell’edificio del mercato e del cortile interno sono già accese. Gli odori arrivano forti, a zaffate, ma entrando lì ci si sente come risucchiati in un vortice di voci e colori disorientanti che ti attirano inevitabilmente verso le bancarelle. Ci sono articoli di ogni genere e dimensione, spezie tenute in sacchi di juta, verdure accatastate, frutta esotica in ceste o scatole, miele dentro bottiglie riciclate, carni rosse che pendono appese come vestiti.
Appena si esce e si torna in strada pare di poter respirare di nuovo aria pulita, ma la vita fuori è meno intensa. Sono le cose più energiche e vitali dell’isola: il mercato e i bambini.
Questi sono stupefacenti; qui in città corrono per le strade e, in quel momento, alcuni stanno giocando a calcio in un campo secco. Un ragazzo del gruppo, appassionato di sport, si avvicina e così finisce che ci togliamo le scarpe in cinque e giochiamo con loro, che intanto ridono delle nostre smorfie per la terra dura. Il turismo in queste zone può diventare pericoloso per i bambini che ne vengono a contatto, modificarne abitudini ed etica, come spesso è successo in India. Ma ne abbiamo visti così tanti ed in ogni contesto, che possiamo forse dire che qui sono ancora autentici. Durante la discesa dalla fortezza di Sigirya, per esempio, dei bimbi gentili e impacciati di una scuola ci hanno fatto delle domande in inglese e dopo aver parlato con loro ci hanno donato dei preziosissimi cartoncini decorati con la loro presentazione e le foto di luoghi dello Sri Lanka. A Polonnaruwa –la valle dei templi antichi- piccoli allievi di monaci vestiti di rosso camminavano concentrati tra le rovine, e a Kandy i figli giovanissimi dei danzatori tradizionali nei momenti di pausa saltavano in scena facendo ruote e salti solo per la gioia di ricevere i nostri applausi. Un giorno stavamo attraversando una campagna, una stradina sterrata, con solo qualche casa lungo la via: quando i bambini di queste, con i loro occhi vispi e luccicanti, sentirono il rumore delle jeep saltarono in piedi e si precipitarono al bordo della strada per rincorrerci. I loro sorrisi enormi si aprivano ancora di più quando ricambiavamo il saluto, ed era questo il loro scopo, solo ricevere questo gesto semplice, come se noi fossimo importanti, o un avvenimento, o un gioco di vita. Si capiva che erano sinceri.
Mi fermo a lasciargli fogli e colori che avevo portato da casa. Spero che gli piacciano e che quando li useranno riempiranno ancora l’aria con le loro risate.
NOTTE – ACQUA
Il sole sta tramontando. Siamo immersi nell’oceano e di fronte a noi vediamo solo acqua e le sagome delle palme della baia che pian piano si scuriscono, mentre il cielo si fa oro, arancio, rosso sempre più carico e nero, fino a non lasciare più distinguere le nuvole. C’erano risate e schizzi prima del tramonto, ma con il sole sulla linea dell’orizzonte ci siamo tutti zittiti, nel silenzio tipico dei momenti importanti cingalesi. E solo dopo aver rispettato il silenzio di quel momento quasi scaro cantiamo la canzone cingalese che avevamo imparato sul treno, che parla di un pescatore, che nella sua melodia famigliare è per me ormai quasi una ninna nanna. È così dolce e si mescola con l’ondeggiare del mare.
L’intreccio di sentimenti, colore, calore, le parole, le risate con i miei compagni è stato uno degli aspetti più preziosi del viaggio: ritrovarci assieme alla sera, raccontare, ascoltare le storie dei giornalisti, i sogni di tutti e le loro confessioni più imbarazzanti, i video montati sul posto, le risate fino a notte fonda, le stelle… Eravamo diversi e uniti come le sfaccettature di questa terra.
Dall’aereo in partenza guardo l’oceano sotto di noi e le ultime luci della città. Penso a ciò che lascerò qui e a quei suoni, sapori, che invece porterò con me, in un unico e magico vortice nel mio cuore.
Ceylon, l’isola splendente, la lacrima dell’India, la sua acqua e la sua luce. Il luogo dove si ritrovano le scoperte che abbiamo dimenticato.
reportage con tutti i canoni del tradizionale “racconto di viaggi”!
Complimenti Elena, ci hai trasmesso emozioni bellissime!