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[#Amarcord] Spingitori di pellegrini. Appunti da un viaggio in India.

A Chennai io e Carlo abbiamo provato ad attraversare la strada davanti all’albergo: impossibile, ogni spazio vuoto della strada viene subito occupato da qualcosa. Abbiamo pensato: ma dove diavolo andrà tutta quella gente?

Un gruppo di giovani su di un bus di propaganda di un partito politico (di lì a poco ci sarebbero state le votazioni nella più grande democrazia del mondo vinte dal Partito del Congresso dell’italiana Sonia Gandhi) stavano per venire alle mani con il nostro autista per la precedenza ad un incrocio. Fortunatamente dopo un acceso battibecco siamo ripartiti senza problemi.

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Foto di Paolo Pagni

Davanti al nostro albergo di Tirupati ho visto un uomo entrare nel cassonetto dell’immondizia, buttarla fuori e poi, alla luce, fare la cernita di solo Dio sa che cosa.

Abbiamo visitato il tempio di Tirumala: eravamo gli unici turisti. Compilate le dichiarazioni di accettazione della divinità – un’avatar (manifestazione terrena) di Vishnu – superati gli infiniti controlli e il senso di oppressione per la calca della enorme folla di pellegrini, siamo arrivati, dopo una lunga fila finalmente di fronte al sacello o Sancta Sanctorum.

È una stanza un po’ buia (rappresenta l’utero femminile: dove nasce la vita) con in fondo una statua del Dio. Gli addetti del tempio che ai lati spingono i pellegrini, per velocizzare la visita, ci hanno permesso di sostare un po’ di più indicandoci di unire le mani e invocare : Govinda, Govinda, Govinda. Cosa che abbiamo fatto goffamente, anche perché molti di noi non sono più abituati a pregare.

Il tempio di Tirumala oltre ad essere il sito religioso più visitato al mondo è famoso perché è il maggior produttore di capelli per parrucche: i devoti donano i propri capelli alla divinità. Abbiamo assistito al taglio dei capelli, rasatura a secco, ad una bambina piccola piccola, ha pianto tutto il tempo.

india paolo pagni
Foto di Paolo Pagni

Nel tempio di Kanchipuram c’era una famiglia intera con i figli in raccoglimento con gli occhi chiusi a sedere per terra.

Un giorno, come tour leader, stavo cercando di interpretare le esigenze dei componenti del gruppo per stabilire come organizzare una visita, quando Shashikumar, la guida indiana, mi prende da una parte e mi dice: “La cosa più difficile è fare il giudice delle rane”. Non ho capito bene, ma credo volesse dire che con le rane che saltano continuamente è molto difficile usare la bilancia, anche quella della giustizia.

A Mamallapuram, durante la visita ad un tempio, abbiamo incontrato un gruppo di socievoli indiani del Gujarat. Gli uomini erano tutti vestiti di bianco con degli strani corpetti, per noi un po’ buffi. Era domenica e nei templi di Mamallapuram si vedevano molte famiglie con il vestito della festa: gli indiani di domenica sono tutti più felici.

Dopo una discussione con alcune donne del gruppo, compresa mia moglie, Shashikumar mi prende di nuovo da parte e mi dice: “È più facile indovinare la via che percorrerà il pesce nell’acqua del mare che capire il pensiero delle donne”. Questa l’ho capita subito.

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Foto di Paolo Pagni

A spasso per il bazar di Tiruchirappalli mi si è rotto il sandalo sinistro e ho trovato subito un ragazzo che, per terra con due attrezzi e un po’ di filo, me lo ha riparato perfettamente. Nei pochi minuti che abbiamo atteso si sono fermati cinque o sei indiani a guardare. Tra noi e loro eravamo una decina di persone a vedere l’operazione.

Intorno a un tempio vicino a Madurai c’era praticamente uno zoo: capre, gatti, scimmie, cani, mucche, galline ecc. Sembrava di essere nel medioevo.

Madurai: il caos delle strade è indescrivibile e per partecipare al rito collettivo del manicomio stradale basta prendere un tuk tuk e andare da qualche parte. Sorprendente è il fatto che, agli Dei piacendo, si possa arrivare a destinazione senza incidenti. A Madurai, in una strada vicino al tempio abbiamo assistito ad una fantastica festa religiosa. I partecipanti passavano sopra a dei carboni ardenti e alcune donne andavano in trance, il tutto accompagnato da una musica assordante e ossessiva. Ho dato 10 rupie ad un mendicante davanti al tempio con una gamba mostruosa.

Gli indiani hanno inventato lo zero che ha permesso lo sviluppo della matematica, base del nostro progresso tecnologico (provate a fare una divisione a tre cifre con i numeri romani) ma non hanno ancora capito che le scope per spazzare per terra con il manico lungo sono più comode.

Lungo la strada che sale verso Peryar ho visto che avevano usato l’immondizia per delimitare alcuni appezzamenti di terra.

Mi si è rotto anche il sandalo destro e il ragazzo della nostra barca l’ha riparato subito con della colla e messo al sole a seccare: riparazione perfetta. Credo che in Italia avrei dovuto comprare i sandali nuovi.

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Foto di Paolo Pagni

Gli indiani dondolano il capo sia per dire si che per dire no, dicono che la differenza sia solo nell’espressione del viso: dopo il mio quarto viaggio in India non ho ancora capito quando è si e quando è no .

È un vero spettacolo assistere, sulla spiaggia di Kovalam, alla messa in mare delle barche per la pesca notturna. Il pescatore anziano deve decidere l’attimo in cui prendere l’onda giusta, altrimenti sono guai. E non è sempre la settima come tutti pensiamo.

Ho visto una barca, di quelle piccole fatte di tronchi, impennarsi su un’onda e far schizzare per l’aria i due pescatori: una cosa molto pericolosa.

Per evitare problemi igienici gli abitanti del villaggio sono obbligati a fare la cacca sul bagnasciuga cosi le onde svolgono la funzione dei nostri sciacquoni. Le donne solo di notte.

Ho visto una trentina di donne portare sulla testa pesanti sacchi di sabbia per costruire un argine di protezione al loro villaggio. Gli uomini erano tutti a sedere per terra all’ombra a giocare a carte, qualcosa tipo scala a quaranta.

Siamo arrivati alle 2,30 di notte all’aeroporto di Thiruvananthapuram e siamo rimasti sorpresi di vedere una folla enorme all’ingresso delle partenze, poi abbiamo capito: sono parenti e amici che vengono a salutare chi parte. A occhio credo che ogni viaggiatore fosse accompagnato da almeno una decina di persone.

Sulla carta d’imbarco, al posto del numero del gate (ce ne sono due ), viene messo un punto interrogativo ( ? ) sorse per farci capire che non si sa di preciso o semplicemente per ricordarci che siamo ancora in India.

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One Thought to “[#Amarcord] Spingitori di pellegrini. Appunti da un viaggio in India.”

  1. Complimenti per l’articolo.. L’ho aggiunto al magazine Travel More: https://flipboard.com/section/travel-more—ita-bQfWMG

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